L'acidificazione degli oceani è dovuta alla decrescita del valore del pH oceanico causato dall'assunzione di anidride carbonica di origine antropica dall'atmosfera.[1]
Circa un quarto della CO2 presente nell'atmosfera finisce negli oceani dove, a contatto con l'acqua, viene trasformata in acido carbonico (H2CO3). All'aumentare della CO2 nell'atmosfera, corrisponde anche un innalzamento di quella disciolta nell'acqua marina; per cui l'incremento delle emissioni di CO2 determina effetti devastanti sugli ecosistemi marini.[2] In particolare, secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), dal 1750 al 2014, una percentuale pari al 30% della CO2 emessa come conseguenza di attività umane (emissioni antropogeniche) è stata assorbita dagli oceani.[2]
È stato stimato che tra il 1751 e il 1994, il pH superficiale delle acque oceaniche si sia abbassato da 8,25 a 8,14,[3] con un corrispondente aumento della concentrazione di ioni H+,[4] pari al 26%.[2]
Il processo di continua acidificazione delle acque oceaniche porta indubbiamente ad effetti sulla catena alimentare[5] e, in particolar modo, può influire sul lisoclino e sulla profondità di compensazione dei carbonati; con conseguente scioglimento dei gusci calcarei delle conchiglie, dei molluschi e del plancton calcareo, costituiti da carbonato di calcio (CaCO3).